Cronache di un viaggio, 1917
Partiamo per Brindisi in automobile. Lunga strada abbagliante, per una campagna di sete. Grossi borghi imbiancati. Gli olivi. Tra Alberobello e Locorotondo i paesaggi strani sparsi di trulli. Una specie di attendamento lapideo. I padiglioni conici di pietra, col fiore in cima. I trulli bruni e bianchi. I gruppi di coni. Penso ad una abitazione fatta di sette trulli con l’interno dorato, con le pareti di lapislazzuli, con i pavimenti coperti di tappeti arabi. Ad Alberobello la festa di Cosimo e Damiano, la festa dei Santi Medici. Carri pieni di pellegrini, processioni, musiche… Paese remoto come sogno, e come un’antica età. La via bianca tra muri e secco. Gli ulivi consorti, sui grossi ceppi, simili a quelli della baia d’Itea, di Delfo, di Egina; ulivi ellenici. L’erba arsiccia nell’ombra, color di velluto fulvo. Le pecore nere, le pecore dei sacrifizi alle divinità di sotterra, che fuggono tra ombra e ombra. Qualche capro nero, dall’occhio giallo. Qualche stuolo di contadini seminudi, simili a certi gruppi di terracotta beotica, simili a certe figure dei vasi campani. Nella stanchezza mi addormento… Mi sveglio e vedo un paese di sogno, come se dormissi tuttavia. L’attendamento di pietra nel terreno ondulato. Gli innumerevoli coni bruni contrassegnati dall’emblema fenici. Lunghe nuvole rosee in cielo d’acquamarina…Le città bianche che s’inazzurrano nella sera. La luna pallidissima nel cielo limpido.
Gabriele D’Annunzio